Dopo una lunga pausa, vorrei parlarvi dei ristoranti giapponesi e non limitarmi a parlarvi del cibo, ma anche delle tipologie dei ristoranti, di come si ordina o di quale sia l’etichetta da seguire. Ma niente paura: i ristoranti in Giappone sono molto meno formali di quelli italiani! In Giappone il cibo ha un ruolo ancora più importante che in Italia: qui tutto è finalizzato a mangiare e a gustare specialità rare e sofisticate. Anche le vacanze si organizzano spesso in funzione delle specialità da gustare in questa o in quest’altra zona.
I Giapponesi mangiano d’abitudine fuori casa e andare al ristorante rientra nelle pratiche quotidiane, anche di famiglie numerose. Se poi si parla di single o di coppie molto impegnate, beh… allora mangiare al ristorante due volte al giorno, sette giorni su sette, diventa la norma. La scelta dei ristoranti è ampia: si va da quelli più semplici ed economici in cui mangiare non costa di più (se non di meno) che cucinare da soli, a quelli più eleganti e costosi che non tutti possono permettersi. A mezzogiorno si mangia di solito molto semplicemente e i ristoranti propongono menu completi a prezzi irrisori se paragonati a quelli italiani. Si può spendere meno di 1500/1000¥ (circa dieci euro) per un pranzo completo ben preparato e servito, con gentilezza, in un ambiente spesso piacevole ed elegante. In questo post approfondirò l’argomento sui ristoranti che si frequentano di sera e che spesso durante il giorno sono chiusi. Non sono propriamente dei ristoranti, perché ci si va anche per bere, spesso troppo, oltre che per mangiare. In giapponese si chiamano isakaya. Sono qualcosa di analogo ai pub, ma la cucina offerta è deliziosa, varia e abbondante. Naturalmente i prezzi sono più alti rispetto a quelli dei ristoranti a menu fisso, ma l’esperienza è spesso sublime e alla fine il conto non è sempre salato. Ad esempio, l’Oishinbo, è un delizioso isakaya specializzato nella raffinata cucina di Kyoto (tutto quello che viene da Kyoto, l’antica capitale, è considerato essere elegante e sofisticato) che però mantiene un’atmosfera decisamente rilassata propria dei ristoranti più semplici. Il grande successo di questo locale ha permesso ai proprietari di aprirne varie succursali, sia a Kyoto (da cui proviene) che a Tokyo, ma ogni ristorante mantiene un’identità peculiare e non sembra di essere in una catena. Il mio preferito è a Kagurazaka, una zona tradizionale vicino casa mia, dall’atmosfera che ricorda Kyoto e sconosciuta ai turisti (anche se molto frequentata dalla comunità francese di Tokyo, probabilmente perché vi ha sede l’Istituto di Cultura Francese). È ancora possibile, con un po’ di fortuna, incontrare delle geishe a passeggio per le sue stradine piene di ristoranti ed esclusive case da tè.
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Il ristorante è una piccola casa tradizionale di legno (cosa rarissima a Tokyo, dove i ristoranti sono ai piani dei palazzi e spesso non visibili dalla strada), un po’ malconcia ma affascinante. Le lampade sulla strada e il lungo noren, la tendina tradizionale, indicano che il ristorante è aperto. La prenotazione, da quando la zona ha conosciuto una seconda rinascita grazie ad una famosa soap giapponese ambientata proprio a Kagurazaka, è necessaria. Io però tento sempre la sorte e cinque volte su dieci funziona. Questa volta è andata bene! All’ingresso ci si leva le scarpe, abitudine che ormai trovo non solo piacevole ma necessaria per rilassarsi. La cameriera ci accompagna al tavolo in una sala che non avevo mai visto. La perfezione formale degli interni giapponesi qui incontra qualche sbavatura: i tatami, le stuoie rivestite di paglia di riso, sono riparate in modo approssimativo, l’arredo si limita ad un accumularsi di vecchi oggetti recuperati in qualche robivecchi e il giardino è più che trascurato, ma nel complesso l’atmosfera è autentica e affascinante e certo non priva di eleganza. Come prima cosa ci si siede sui tatami e si ordina da bere. La scelta è ampia, spazia dal sakè al vino, ma quando si arriva si ordina d’abitudine una birra. I pochi che non bevono ordinano tipicamente un salutare tè olong freddo che tra le sue numerose proprietà benefiche ha anche quella di ridurre l’assorbimento dei grassi. Io che avevo stampato il buono da internet, ho diritto ad una birra di benvenuto, che è una birra piccola. La birra viene servita con uno stuzzichino di solito a base d’alghe e tofu o pesce, in questo caso a base di una specie di grosso cetriolo che ricorda il daikon. La cameriera, che si inginocchia sempre in segno di rispetto verso il cliente, porta anche i piccoli asciugamani inzuppati d’acqua per pulirsi le mani e il viso. Caldi d’inverno e freddi d’estate: un vero piacere. In Giappone non si ordina per sé: tutto viene diviso. Il che per gli stranieri è causa di parecchi problemi se chi mangia non può o non vuole mangiare quello che altri vorrebbero mangiare. Questa è una lezione di cultura giapponese: bisogna trovare l’accordo per raggiungere l’armonia. Si dice quello che si vuole mangiare, lo si propone agli altri e se gli altri ti propongono qualcosa che tu non puoi/vuoi mangiare lo dici e si cerca un compromesso, una volta stabilito quello che si mangia, si procede ad ordinare. Dopo un po’ ci si fa l’abitudine e ora non dividere il piatto quando sono in un ristorante giapponese, mi sembra un po’ strano, se non addirittura rude. E per me, vegetariano, non è una cosa semplice! In un isakaya, si ordina a scaglioni: se le prime portate non bastano, si ordina ancora e ancora. Non esiste la distinzione antipasto, primo o secondo: tutto dal menu si ordina senza un ordine prestabilito.
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In questo isakaya il menu è complicato: scritto a mano in calligrafia bella ma indecifrabile è un esercizio di traduzione notevole per me e a complicare il tutto, le ordinazioni vanno scritte su di un foglietto. Per fortuna non sono solo (del resto all’isakaya ci si va in compagnia), ma con Shintaro-san che mi ha fatto scoprire questo ristorante anni fa. In questo ristorante ordino sempre il fu con il miso bianco di Kyoto. Si tratta di glutine di frumento (analogo a quello del seitan) fresco fritto e cosparso di miso stemperato in un un pochino di sake. È uno dei miei piatti preferiti. E poi le melanzane al miso bianco, sono sublimi! Poi abbiamo preso yuba, una sorta di prodotto secondario della lavorazione del tofu che si magia con wasabi e salsa di soia. Un’insalata di pollo con salsa si sesamo, una strana pizza giapponese fatta con gallette di riso (quelle dietetiche che si recuperano nelle sezioni “dieta” dei supermercati, ma più sottile), cui a tradimento hanno messo un po’ di tonno e gamberetti e una montagna di formaggio, il tutto grigliato, la frittatina giapponese, una sorta di frittata arrotolata che si prepara con grande facilità, ma richiede un po’ di tecnica, e alla fine una classica tempura di verdure. Dopo tre birre a testa non eravamo più in grado di magiare altro e abbiamo preferito andare a fare una passeggiata per le vie di Kagurazaka. Il tutto è costato poco più di 3500¥ a testa, ovvero circa 22 euro a testa. Direi piuttosto economico! [testi e fotografie di baroccogiapponese]
Altri articoli della rubrica “Cucina giapponese”: Umeshu Tsukemono
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comme un garçon » IsakayaElenco degli articoli che citano questo:
giovedì, 23 Agosto 2007 alle 18:18 .
[…] finalmente mi sono deciso e ho pubblicato un piccolo articolo sugli isakaya sul blog di Francesca. Eccolo! August 23, 2007 | In Varie […]
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Melanzane al miso | FrancescaVElenco degli articoli che citano questo:
martedì, 21 Luglio 2009 alle 17:56 .
[…] volta vi avevo portato con me a cena in un tipo ristorante giapponese di Tokyo, un isakaya. Questi erano i piatti che avevamo preso: il fu con il miso bianco, la yuba, un’insalata di […]