Oggi ci accingiamo a conoscere meglio Roberto Carretta, studioso e scrittore, che vive e lavora a Torino. Tra le sue varie pubblicazioni, ha scritto anche due libri dedicati alla cucina: La cucina delle fiabe, che ci racconta un cibo legato alla vita quotidiana e contadina, infarcito però di sogni e fantasia, e In taverna con Shakespeare dove le abitudini culinarie delle taverne inglesi fanno da sfondo agli avvenimenti di quel periodo. Sono due libri che vorrei trovare più spesso tra i ripiani delle librerie, dove ci sono sempre i soliti titoli. Ed ora l’intervista: buona lettura!
1. Perchè i due libri di cucina che ha scritto sono legati alla storia?
Beh, più che alla storia in senso stretto, alla cultura. Il cibo è espressione diretta di un popolo e di una cultura, come di un periodo storico. Per Jacques Le Goff “il cibo è uno dei più importanti protagonisti della storia”. Nelle fiabe si sedimenta una sapienza popolare antichissima, è un luogo di incontro tra cultura “alta” e “bassa”, vivo, in continuo divenire. In Shakespeare conserva e acquista una valenza simbolica importantissima.
2. A Roma si organizzano serate a tema tratte dal suo libro “In taverna con Shakespeare”, cosa ne pensa?
L’ho scoperto anch’io da poco, via internet. Ne sono contento, i libri sono messaggi nella bottiglia, chiunque li raccolga ne fa l’uso che crede.
3. Che rapporto ha con le ricette: le segue pedissequamente o le inventa?
Non sono un bravo cuoco. Il mio interesse per la cucina è letterario, ammetto di avere poco tempo da dedicare ad un rito così importante.
4. Preferisce cucinare o gustare i piatti preparati da altri?
Ne consegue che preferisco gustare piatti preparati da altri. Cucinare è, appunto, un rito. Le rare volte in cui ho tempo bastante mi sento comunque un alchimista nel suo antro. D’altronde cucinare significa preparare della materia a subire una trasformazione che la rende energia, carne, corpo vivente…
5. In che cosa, secondo lei, il rito della tavola rappresenta uno specchio della società?
In tutto. Condividere il cibo, fin dall’antichità, significa condividere il rango del commensale, nelle fiabe condividerne la condizione superumana o divina, acquisendo poteri magici. Il che è poi la base dei riti religiosi. Oggi abbiamo un doppio binario: cibo speedy, un’incombenza da sbrigare velocemente e slowfood, gustare l’attimo sospendendo la ruota del tempo. Gli usi del desco e della convivialità sono appunto lo specchio di un gruppo o di una società. Pensi ancora alle fiabe, ai cibi proibiti, alla penuria delle genti contadine e ai sogni di abbondanza che ne conseguivano. Ovidio si chiedeva: “Donde nell’uomo tanta fame di cibi proibiti?”, proprio dal fatto che fossero proibiti o irraggiungibili potremmo rispondere.
5+1. Cosa sente che la lega al mondo del cibo?
Soprattutto il gusto della convivialità, momento sereno di condivisione, di incontro tra le persone e le culture.
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