Non c’è ombra di dubbio; le nostre convinzioni culturali alterano pesantemente la percezione dell’ambiente che ci circonda.
In effetti, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale considera “naturale” ciò a cui è abituata, quello che ha sempre visto esistere.
Il vino e la birra, per esempio, sono considerati prodotti naturali. In realtà non esisterebbero se gli uomini non avessero, nel corso dei secoli, affinato delle tecniche produttive che, con l’aiuto di tanta chimica e di un pizzico di microbiologia, hanno permesso la trasformazione di uva e cereali rispettivamente in vino e birra.
Insomma, roba artificiale che più artificiale non si può.
Allo stesso tempo ci resta difficile immaginare che la Coca Cola sia qualcosa di naturale perché non riusciamo ad associarla a niente che conosciamo. Inoltre, a questa impressione, si aggiungono decine di leggende metropolitane che contribuiscono, e non poco, alla sinistra fama della bevanda in questione.
Restereste sorpresi se vi dicessi che invece tutti gli aromi che costituiscono la famigerata bevanda sono riconducibili agli estratti di qualche pianta aromatica, ed il resto dei componenti sono acqua, zucchero, un acidificante (acido fosforico) ed un pizzico di caramello per conferire il tipico colore bruno (e che altro non è che zucchero “bruciato”)?
In realtà non c’è niente di più artificiale del concetto di “naturale”.
La pubblicità ed i messaggi fuorvianti diffusi da certi media ci hanno abituato a pensare che tutto quello che è prodotto dall’uomo sia “artificiale” mentre quello che si trova in natura sia “naturale”.
Non solo: ci hanno convinto (o perlomeno ci provano!) che tutto quello che è naturale sia buono e salutare, persino più giusto da un punto di vista etico, mentre che tutto quello che è artificiale, ossia sintetizzato dall’uomo, sia dannoso o perlomeno non troppo salutare.
Basta però riflettere un po’, anche senza essere degli esperti, per rendersi conto che queste affermazioni non trovano un riscontro nella realtà: l’arsenico o il cianuro di potassio, che si trovano tranquillamente in natura sono potentissimi veleni, lo stesso possiamo dire per certi funghi (per esempio l’amanita falloide) e piante come la belladonna, la cicuta o la datura.
Addirittura certi prodotti di sintesi possono essere più puri dei loro equivalenti ritrovati in natura; infatti, ciò che è prodotto in laboratorio è generalmente purificato ed esente da residui estranei mentre le sostanze naturali possono risultare contaminate da pesticidi, agenti inquinanti atmosferici e del suolo, etc.
Un altro diffuso pregiudizio è che le sostanze di sintesi siano meno nobili e meno gustose di quelle sintetizzate dall’uomo in processi industriali.
Anche questa affermazione però non ha alcun fondamento scientifico e cercherò di spiegarlo con un piccolo esempio.
L’acqua, quella che costituisce circa il 65% del nostro corpo e copre circa il 71% della superficie terrestre, è fatta di Idrogeno ed Ossigeno, più precisamente ogni molecola d’acqua contiene due atomi di Idrogeno ed uno di Ossigeno (formula chimica H2O). L’acqua può essere considerata il prodotto naturale per eccellenza: a lei dobbiamo lo sviluppo ed il mantenimento della vita sul nostro pianeta.
Come ho detto in precedenza, in natura troviamo abbondanti quantità d’acqua ma questa può essere facilmente sintetizzata in laboratorio a partire dai suoi componenti elementari, l’Ossigeno e l’Idrogeno; a loro volta l’Ossigeno si trova abbondantemente in natura mentre ci possiamo procurare l’Idrogeno per mezzo di reazioni chimiche a partire dal carbone o dal petrolio.
Ebbene, l’acqua che si ottiene da questa reazione chimica sarà completamente identica all’acqua del ruscelletto di campagna o quella del mare (se ovviamente consideriamo solo la molecola H2O e non consideriamo gli eventuali sali disciolti). L’acqua di sintesi avrà lo stesso sapore ed odore, bollirà sempre a 100°C e ghiaccerà sempre a 0°C.
Se prendessimo un bicchiere di acqua di ruscello ed uno di acqua di sintesi e li mescolassimo in una caraffa nessuno potrebbe più distinguere gli uni dagli altri.
E lo stesso avviene per qualsiasi altra sostanza, per esempio la vanillina.
La vanillina (nome IUPAC*, 4-idrossi-3-metossibenzaldeide, formula C8H8O3) è un composto chimico che è il costituente principale dell’aroma estratto dal baccello di vaniglia ed in parole povere ha un profumo ed un sapore meraviglioso 😉
[immagine vanillina da Wikipedia]
Ovviamente la vanillina più essere estratta dai baccelli di vaniglia ma questo processo è costoso e può potenzialmente danneggiare irreversibilmente le proprietà organolettiche della vanillina. Molto più economico invece sintetizzare la vanillina a partire da alcuni residui della lavorazione del petrolio.
Petrolio? Come è possibile che da quel pestilenziale liquido maleodorante si ottenere una cosa celestiale come la vanillina? Beh, sono i miracoli della chimica, no? In caso contrario non ne sarei così affascinato, non pensate? 😀
Il fatto è che tutti i composti organici sono egualmente costituiti da atomi di Carbonio, Ossigeno Idrogeno ed in misura minore da qualcos’altro come Azoto, etc.
Il chimico industriale non fa altro che giocare con le molecole esattamente come un bambino gioca con i mattoncini delle costruzioni: partendo da una base sufficientemente complessa, o sufficientemente semplice, opera addizioni, sottrazioni e sostituzioni fino ad ottenere la molecola che gli interessa, in questo caso la vanillina.
Fortunatamente per noi, amanti della buona cucina, gli atomi di Ossigeno sono tutti uguali e così lo sono quelli di Carbonio etc. Non ha importanza la loro provenienza ma come sono assemblati e quindi la vanillina di sintesi, economica, possiede lo stesso aroma di quella estratta dai baccelli di vaniglia.
Certamente esiste una differenza tra l’aroma completo di vaniglia e la singola vanillina ma per fortuna in moltissime delle preparazioni da forno in cui si usa, la differenza rimane virtualmente indistinguibile; considerato il consumo annuale di vanillina per l’industria alimentare (stimato in 12000 tonnellate all’anno), le piante di vaniglia esistenti non basterebbero mai e sarebbe un’assurdità insostenibile dal punto di vista anche ecologico pretendere di produrla tutta a partire dalle piante.
Spero che questi articoli vi piacciano e invito tutti a proporre dei temi della Chimica in cucina che stuzzicano la vostra curiosità; ne parleremo prossimamente su queste pagine.
* la IUPAC, acronimo di International Union of Pure and Applied Chemistry (in italiano Unione Internazionale di Chimica Pura ed Applicata), è una organizzazione non governativa internazionale. Tra le varie funzioni, mantiene ed aggiorna periodicamente le regole riguardanti la nomenclatura chimica degli elementi e dei composti.
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