Fin da quando ho iniziato la mia collaborazione con Francesca l’argomento “lieviti e lievitazione” è sempre stato in cima alla lista di quelli che avrei voluto trattare.
In effetti uno dei miei primi interventi su FrancescaV.com fu proprio per commentare un’affermazione a proposito di un lievito.
Siccome anche in questo campo credo vi sia un po’ di confusione (e forse qualche pregiudizio) è naturale che, polemico come sono, mi ci butti a capofitto! 😉
Vediamo di fare un po’ d’ordine.
Iiniziamo a dire che cosa s’intende per lievitazione. No, il mago Silvan non c’entra per niente. Penso che su questo ci troveremo tutti d’accordo: la lievitazione è quel fenomeno che permette alle nostre pizze, al pane, ai dolci ed alle altre prelibatezze che prepariamo in forno di risultare soffici e morbidi.
Quello che però dovrebbe stimolare la nostra curiosità, è il come questo processo avviene nelle nostre preparazioni ed ancora di più ci interessa sapere come fare per causarlo e controllarlo ed ottenere i migliori effetti.
La lievitazione viene quasi sempre causata da un gas, generalmente il diossido di carbonio (formula chimica CO2) che si sviluppa all’interno delle preparazioni: le bollicine di gas prima fanno aumentare il volume della pasta, poi il calore, gli amidi e le altre proteine presenti, tipo il glutine, compiono il resto del “miracolo”.
Per mezzo del calore, infatti, queste proteine si denaturano (ossia mutano la loro conformazione spaziale passando da una forma appallottolata ad una distesa) conferendo alla preparazione una certa “rigidità” che poi verrà mantenuta nel tempo (in realtà i processi sono un poco più complessi della sola denaturazione e coinvolgono anche la creazione di salde e gel).
Ovviamente con il calore il diossido di carbonio se ne andrà via non lasciando traccia alcuna se non lo spazio precedentemente occupato dalle sue bollicine.
Ma come fare a generare queste bollicine di gas all’interno dei nostri impasti?
Vi sono almeno tre metodi principali.
Il primo e il più semplice è quello di inglobare il gas (per esempio l’aria) all’interno delle preparazioni in modo meccanico, per esempio sbattendo con una frusta, uno sbattitore elettrico oppure un sifone da pasticceria.
Il secondo e terzo metodo implicano l’utilizzo di lieviti detti “naturali” e di lieviti detti “chimici”. Entrambi sfruttano lo stesso principio chimico: il gas viene generato dall’interno dell’impasto. Vediamo come.
I LIEVITI NATURALI
I cosiddetti lieviti” naturali” sono costituiti da batteri, comunemente chiamati lieviti. Tra i lieviti alcuni sono patogeni per l’uomo come la Candida Albicans (che causa fastidiosissime infezioni alle mucose orali e genitali), altri ancora sono patogeni per i nostri animali domestici, infine molti altri (a dimostrazione perenne che non bisogna mai fare di tutta l’erba un fascio) sono utilissimi per l’uomo e ci danno anzi un notevole piacere; sto parlando infatti dei lieviti usati per fare fermentare vino e birra ed ovviamente far lievitare le nostre torte ed le nostre pagnotte.
I lieviti responsabili di queste ultime manifestazioni sono in genere quasi sempre gli stessi, del genere Saccaromyces e specie Cerevisiae o Bayanus, ma ce ne sono moltissimi altri.
In realtà la definizione più accurata per questo tipo di lievito dovrebbe essere lievito biologico.
Uno di questi lieviti naturali è il lievito di birra. La definizione di lievito di birra ha origine proprio dal fatto che questo microorganismo è il responsabile appunto della fermentazione di alcuni tipi di birra ed anche il suo nome scientifico (Cerevisiae) ricorda appunto la magnifica bevanda ambrata.
I nostri amici lieviti hanno la caratteristica di vivere benissimo anche in anaerobiosi, ossia in assenza di ossigeno, e durante la loro vita traggono sostentamento ed energia trasformando gli zuccheri semplici come il glucosio oppure quelli complessi come l’amido, in alcool etilico (detto anche etanolo, C2H5OH) e diossido di carbonio, quello stesso diossido di carbonio che farà appunto lievitare la nostra pasta!
Se ne deduce quindi che per “funzionare” bene i nostri amici lieviti dovranno avere a disposizione zuccheri (o amidi) ed un ambiente adeguato, non troppo caldo o freddo, di giusta acidità, senza il quale non potranno riprodursi ed iniziare la trasformazione una parte degli zuccheri in diossido di carbonio.
Risulta particolarmente curioso, almeno al chimico che è in me, che lo stesso genere di batterio venga usato dall’uomo per due scopi completamente diversi: infatti, se nella lievitazione l’uomo sfrutta a proprio vantaggio la produzione di diossido di carbonio, la produzione di etanolo viene invece efficacemente messa a frutto per la trasformazione di malto ed uva in rispettivamente birra e vino!
Il cosiddetto lievito fresco altro non è che una massa di batteri della specie Saccaromyces Cerevisiae filtrati dal loro brodo di coltura e compattati fino ad assumere una forma a cubetto; ecco perché deve essere conservato al fresco e perché ha una scadenza limitata.
Il lievito secco invece è stato messo a punto nel secolo scorso e si ottiene mediante liofilizzazione (rimozione dell’acqua a bassa pressione e temperatura ambiente, permette appunto di rimuovere l’acqua per sublimazione senza scaldare i composti termolabili) delle colture batteriche; questo tipo di preparazione si può conservare a temperatura ambiente e rimane attiva per circa un anno.
Altri esempi di lieviti biologici di uso comune sono la birra non pastorizzata (come le Weissen, che appunto contengono lieviti ancora vivi), gli yogurt, la pasta madre.
La pasta madre, o pasta acida, contiene lattobacilli, responsabili della fermentazione del latte e per questo chiamati anche “fermenti lattici”; questi vivono spesso in simbiosi con dei lieviti che per questo donano agli impasti un caratteristico sapore acido ed una lievitazione più lenta.
I LIEVITI CHIMICI
I lieviti cosiddetti chimici sono invece sostanze chimiche che in determinate condizioni reagiscono tra di loro o con altri componenti dell’impasto in presenza di acqua o del calore (decomponendosi) per generare dei gas (anche in questo caso quasi sempre il diossido di carbonio) che permettono all’impasto di risultare soffice.
Le reazioni che avvengono sono solitamente delle reazioni acido-base per cui un acido reagisce con una base liberando appunto diossido di carbonio (comunemente chiamata anche anidride carbonica) e formando un sale.
Per il carbonato acido di sodio la reazione è la seguente, dove in ambiente acido esso reagisce formando diossido di carbonio:
NaHCO3 + H+ → Na+ + CO2 + H2O
Sopra i 70°C invece questo decompone in carbonato di sodio, diossido di carbonio ed acqua:
2 NaHCO3 → Na2CO3 + H2O + CO2
I lieviti chimici più conosciuti sono il bicarbonato di sodio (detto anche carbonato acido di sodio NaHCO3), il cremor tartaro (tartrato acido di potassio KC4H5O6), il bicarbonato di ammonio (detta anche ammoniaca per dolci, chimicamente: carbonato acido di ammonio NH4HCO3), il pirofosfato di sodio (disodio diidrogeno difosfato, Na2H2P2O7) e persino l’acqua ossigenata (perossido di diidrogeno H2O2).
In realtà, tutte queste sostanze chimiche si trovano comunemente in natura (anche se in alcuni casi risulta economicamente più vantaggioso sintetizzarle) e quindi sarebbe ingeneroso non includerle a pieno titolo nella categoria dei “lieviti naturali”, prerogativa che invece gli viene solitamente negata.
Questi agenti lievitanti hanno la caratteristica di generare gas molto più velocemente dei loro “parenti” biologici e quindi di risultare più adatti all’uso nei dolci.
La velocità di rilascio del gas varia al variare della molecola chimica usata. Per esempio il cremor tartaro rilascia il diossido di carbonio in modo molto veloce mentre il pirofosfato di sodio in modo abbastanza lento.
Ho detto prima che l’azione lievitante consiste nel generare il gas il quale forma delle bollicine all’interno dell’impasto gonfiandolo; cuocendo l’impasto poi, l’amido gelifica e le proteine si denaturano e si coaugulano donando una certa struttura al dolce che rimarrà bello gonfio anche quando il gas si sarà completamente disperso.
Da questo possiamo dedurre che se lo sviluppo del gas è troppo veloce, questo si disperderà prima che il dolce si sia sufficientemente solidificato e quindi osserveremo il dolce gonfiarsi per poi appiattirsi miseramente, sigh!
Usando i lieviti chimici, occorre anche stare attenti al dosaggio di queste sostanze perché se aggiunte in eccesso potrebbe rimanere del lievito non reagito che potrebbe alterare il sapore finale della preparazione.
Le bustine in commercio, oltre ad essere spesso addizionate di aromi come la vaniglia, hanno anche al loro interno una sostanza basica dosata in modo da reagire stechiometricamente con la parte acida così da non lasciare eccessi né dell’una né dell’altro componente e quindi prevenire gli effetti negativi di un eccesso di lievito. In realtà invece è possibile che parte della sostanza acida reagisca già per conto suo (o si decomponga) lasciando quindi un eccesso che i palati fini non apprezzeranno.
ALTRI TIPI DI LIEVITO
Volevo dedicare l’ultimo pensiero dell’articolo a due agenti lievitanti molto ignorati e bistrattati, l’aria e l’acqua.
Anche queste sostanze infatti possono essere usate efficacemente come agenti lievitanti.
Certi impasti infatti (dipende dalla forza delle proteine contenute) riescono a trattenere le molecole di aria o di vapore d’acqua sufficientemente a lungo, fino al momento in cui l’impasto per mezzo del calore si solidificherà mantenendo così la sua forma finale.
La fisica ci insegna infatti che i gas si espandono con l’aumentare della temperatura e questo fenomeno si applica anche all’aria ed al vapor d’acqua.
Ecco così spiegato il potere lievitante di questi due semplicissimi “lieviti”, ma anche perché alcuni dolci si sgonfiano miseramente se apriamo il forno durante la cottura!
Una salutone a tutti e buoni pani e dolci di Natale!
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